La prima impressione che mi viene da esprimere, a caldo, dopo
aver chiuso il libro sull'ultima pagina, è questa: è una storia che dispiace
lasciare al suo destino, come se essa dovesse continuare a snodarsi, oltre
l’ultima frase, al di là dell’ultima immagine, con eventi e avvenimenti che ci
piacerebbe conoscere, o addirittura inventare noi stessi lettori.
Le protagoniste, tutte donne, nere e bianche di una città del
Mississippi negli Anni Sessanta, profondo sud degli Stati Uniti, insieme, e in
contrasto, ci hanno svelato un mondo che potevamo immaginare, ma che non
conoscevamo, o sul quale non ci eravamo soffermati a riflettere. Anni di
trasformazione e di riscatto per il problema razziale in America, ma ancora
profondamente solcati e, spesso, martoriati, da quel confine sociale, la
crudele linea di demarcazione che contrapponeva bianchi e neri nelle città e
nelle campagne, nelle professioni, sugli autobus, nelle scuole e nelle case. Le
voci che subito si impongono, a costituire l’alternanza di voci e di vicende
nell’intreccio della narrazione, provengono dalla sfera privata, dalle case, da
una dimensione familiare di benessere e omertà, di piccole e grandi invidie, di
ipocrisie e dedizione, di aspirazioni piccolo borghesi e di faticosi tentativi
di affrancamento da parte delle nuove generazioni.
Le due voci femminili che si alternano nella narrazione,
Aibeleen e Minny, sono umili: doppiamente umili, in quanto donne nere e in
quanto domestiche al servizio nelle case dei bianchi. Un’altra, Skeeter, è
bianca, ed è il punto di vista di chi, da una posizione di privilegio, scende
ad ascoltare, e a dare voce, appunto, a chi inizialmente non si permette nemmeno il pensiero di poter
esprimersi, di dire la verità, di raccontare la pura verità dei fatti. Anche il
punto di partenza per il lungo viaggio di autocoscienza e riscoperta di sé che
coinvolgerà alcune delle domestiche di Jackson grazie all’iniziativa del libro
da scrivere in comune, è umile, limitato: sono gli appunti di economia
domestica che Skeeter, Miss Phelan, redige per il quotidiano locale e per i
quali sceglie di chiedere consiglio proprio ad Aibeleen.
Da questo timido inizio si svilupperà un percorso difficile e
pericoloso, costituito dalla raccolta
dei racconti di dodici governanti di colore, lungo il quale si infrangeranno
molte delle certezze e tutte le amicizie “bianche” di Skeeter e grazie al quale
Aibeleen acquisirà la consapevolezza, lei, donna nera, la cui parola più
frequentemente pronunciata era “Sissignora”, di possedere un’arma nelle
proprie mani, fragile e potente, bruciante e potenzialmente rivoluzionaria: il
talento della scrittura. La scrittura collettiva come autoeducazione, quindi, come
involontaria ma crescente e inarrestabile presa di posizione e di coraggio. La
necessità del dire, la scrittura della propria esperienza, nel bene e nel male,
diviene condivisa e impellente, sebbene sempre impastata con la paura, quando
l’oppressione e il sopruso si fanno schiaccianti, quando le ingiustizie si
fanno insostenibili, a fronte di un movimento per i diritti civili della
popolazione nera la cui eco giunge, giocoforza, dagli stati più evoluti del
Nord del paese, anche nel profondo Sud del Mississippi. E’ infatti quando
l’amica Yule May viene incriminata per aver rubato un anello di poco valore
alla sua Signora, Miss Hilly, al fine di poter far studiare entrambi i figli
gemelli all’Università, che le singole domestiche, ad una ad una,
spontaneamente, si decidono a collaborare alla scrittura del libro di
testimonianza: un’adesione che fonda una piccola comunità.
Ma le parole, esplosive, temute, messe una accanto all’altra
come anelli di una catena salvifica a svelare realtà e sentimenti, ad affermare
il diritto a pensieri, emozioni, desideri e aspirazioni di chi esiste spesso
solo per rispondere quello scontato “Sissignora”, possono essere taumaturgiche
o maledette, moventi per progredire o per implodere in se stessi. Così, il
libro delle domestiche nere, pubblicato ma segreto, limpido e diretto ma
costretto all’anonimato a protezione delle sue autrici, si insinua con la sua
disarmante e dirompente verità anche in chi legge. Diviene motore che smuove i
pensieri di chi ha l’umiltà e la capacità di interrogarsi, di mettersi in
discussione… E’ ciò che accade con Miss Chotard, ad esempio, che chiede alla
sua domestica se la stia trattando male “come quella donna terribile del
libro”, e che dopo trentasette anni di vita in comune siede con lei per la
prima volta allo stesso tavolo. Oppure dà il coraggio di procedere oltre a chi è già da tempo consapevole delle ingiustizie,
adoperandosi per correggerle e non vuole più essere connivente con lo status quo come Miss Lou Anne Templeton,
decisa, dopo la lettura di The Help, a rompere definitivamente con
Hilly Hollbrook.
Per quelle lettrici bianche che rimangono tenacemente
arroccate ai propri pregiudizi, invece, il libro si rivolterà loro contro, pur
continuando esse ad esercitare il loro potere licenziando le domestiche che
hanno osato esprimersi, e ad imporre la propria supremazia nella cittadina di
Jackson.
La temibile Hilly, che non riesce a vedere un palmo al di là
del proprio egoismo, diverrà preda dell’ossessione per l’episodio della torta
di Minny e sprizzerà il suo veleno contro Aibeleen, facendola licenziare
dall’amica Elizabeth. Quest’ultima, infatti, incapace di sottrarsi
all’influenza dell’amica, si sottometterà al suo sfogo imperioso e cattivo,
accettando sia pur controvoglia il licenziamento della sua preziosa domestica e
governante, così amata dalla figlia, la piccola Mae Mobley.
E che dire dei personaggi maschili, in questo libro? Sono
figure di contorno, poste in secondo piano a sostenere e dar ragione del
tessuto sociale di quel periodo. Ad iniziare con Stuart Withworth, il
temporaneo fidanzato altolocato di Skeeter, ancorato ai valori della tradizione
che pongono i bianchi in posizione di predominio e ostinatamente contrario
all’integrazione razziale. Per proseguire con il senatore Withworth, padre di
Stuart, conservatore, semialcolizzato, meschinamente concentrato sulla sua
carriera politica al punto da sacrificare ad essa anche gli affetti più
importanti. Leroy, il marito di Minny, è un operaio nero che annega nell’alcool
la frustrazione e la rabbia della sua situazione di sottomissione senza via
d’uscita, sfogandosi sulla moglie a suon di botte e schiaffi.
Rimane in lontananza, insieme all’attivista per i diritti
civili brutalmente assassinato a Jackson, il grande Martin Luther King, il
coraggioso avvocato che raccontava di “avere un sogno”, per il quale anch’egli
avrebbe pagato con la vita, e che compare nelle favole di Aibeleen raccontate teneramente
alla sua “ultima bambina” Mae Moebly, come un “marziano” verde che voleva
vivere sulla terra in pace, assieme alle persone di tutti i colori.
Chiudendo questo libro i lettori possono sentire la speranza
resistere nel pianto sconsolato della piccina, che dice addio alla sua tata, ma
che conserva sotto le palpebre l’immagine di un girotondo multicolore.
06 marzo 2013
Carla Combatti