giovedì 14 marzo 2013

THE HELP (L'AIUTO) - Kathryn Stockett



La prima impressione che mi viene da esprimere, a caldo, dopo aver chiuso il libro sull'ultima pagina, è questa: è una storia che dispiace lasciare al suo destino, come se essa dovesse continuare a snodarsi, oltre l’ultima frase, al di là dell’ultima immagine, con eventi e avvenimenti che ci piacerebbe conoscere, o addirittura inventare noi stessi lettori.
Le protagoniste, tutte donne, nere e bianche di una città del Mississippi negli Anni Sessanta, profondo sud degli Stati Uniti, insieme, e in contrasto, ci hanno svelato un mondo che potevamo immaginare, ma che non conoscevamo, o sul quale non ci eravamo soffermati a riflettere. Anni di trasformazione e di riscatto per il problema razziale in America, ma ancora profondamente solcati e, spesso, martoriati, da quel confine sociale, la crudele linea di demarcazione che contrapponeva bianchi e neri nelle città e nelle campagne, nelle professioni, sugli autobus, nelle scuole e nelle case. Le voci che subito si impongono, a costituire l’alternanza di voci e di vicende nell’intreccio della narrazione, provengono dalla sfera privata, dalle case, da una dimensione familiare di benessere e omertà, di piccole e grandi invidie, di ipocrisie e dedizione, di aspirazioni piccolo borghesi e di faticosi tentativi di affrancamento da parte delle nuove generazioni.
Le due voci femminili che si alternano nella narrazione, Aibeleen e Minny, sono umili: doppiamente umili, in quanto donne nere e in quanto domestiche al servizio nelle case dei bianchi. Un’altra, Skeeter, è bianca, ed è il punto di vista di chi, da una posizione di privilegio, scende ad ascoltare, e a dare voce, appunto, a chi inizialmente non si  permette nemmeno il pensiero di poter esprimersi, di dire la verità, di raccontare la pura verità dei fatti. Anche il punto di partenza per il lungo viaggio di autocoscienza e riscoperta di sé che coinvolgerà alcune delle domestiche di Jackson grazie all’iniziativa del libro da scrivere in comune, è umile, limitato: sono gli appunti di economia domestica che Skeeter, Miss Phelan, redige per il quotidiano locale e per i quali sceglie di chiedere consiglio proprio ad Aibeleen.
Da questo timido inizio si svilupperà un percorso difficile e pericoloso, costituito  dalla raccolta dei racconti di dodici governanti di colore, lungo il quale si infrangeranno molte delle certezze e tutte le amicizie “bianche” di Skeeter e grazie al quale Aibeleen acquisirà la consapevolezza, lei, donna nera, la cui parola più frequentemente pronunciata era  “Sissignora”, di possedere un’arma nelle proprie mani, fragile e potente, bruciante e potenzialmente rivoluzionaria: il talento della scrittura. La scrittura collettiva come autoeducazione, quindi, come involontaria ma crescente e inarrestabile presa di posizione e di coraggio. La necessità del dire, la scrittura della propria esperienza, nel bene e nel male, diviene condivisa e impellente, sebbene sempre impastata con la paura, quando l’oppressione e il sopruso si fanno schiaccianti, quando le ingiustizie si fanno insostenibili, a fronte di un movimento per i diritti civili della popolazione nera la cui eco giunge, giocoforza, dagli stati più evoluti del Nord del paese, anche nel profondo Sud del Mississippi. E’ infatti quando l’amica Yule May viene incriminata per aver rubato un anello di poco valore alla sua Signora, Miss Hilly, al fine di poter far studiare entrambi i figli gemelli all’Università, che le singole domestiche, ad una ad una, spontaneamente, si decidono a collaborare alla scrittura del libro di testimonianza: un’adesione che fonda una piccola comunità.
Ma le parole, esplosive, temute, messe una accanto all’altra come anelli di una catena salvifica a svelare realtà e sentimenti, ad affermare il diritto a pensieri, emozioni, desideri e aspirazioni di chi esiste spesso solo per rispondere quello scontato “Sissignora”, possono essere taumaturgiche o maledette, moventi per progredire o per implodere in se stessi. Così, il libro delle domestiche nere, pubblicato ma segreto, limpido e diretto ma costretto all’anonimato a protezione delle sue autrici, si insinua con la sua disarmante e dirompente verità anche in chi legge. Diviene motore che smuove i pensieri di chi ha l’umiltà e la capacità di interrogarsi, di mettersi in discussione… E’ ciò che accade con Miss Chotard, ad esempio, che chiede alla sua domestica se la stia trattando male “come quella donna terribile del libro”, e che dopo trentasette anni di vita in comune siede con lei per la prima volta allo stesso tavolo. Oppure dà il coraggio di procedere oltre a chi  è già da tempo consapevole delle ingiustizie, adoperandosi per correggerle e non vuole più essere connivente con lo status quo come Miss Lou Anne Templeton, decisa, dopo la lettura di The Help, a rompere definitivamente con Hilly Hollbrook.
Per quelle lettrici bianche che rimangono tenacemente arroccate ai propri pregiudizi, invece, il libro si rivolterà loro contro, pur continuando esse ad esercitare il loro potere licenziando le domestiche che hanno osato esprimersi, e ad imporre la propria supremazia nella cittadina di Jackson.
La temibile Hilly, che non riesce a vedere un palmo al di là del proprio egoismo, diverrà preda dell’ossessione per l’episodio della torta di Minny e sprizzerà il suo veleno contro Aibeleen, facendola licenziare dall’amica Elizabeth. Quest’ultima, infatti, incapace di sottrarsi all’influenza dell’amica, si sottometterà al suo sfogo imperioso e cattivo, accettando sia pur controvoglia il licenziamento della sua preziosa domestica e governante, così amata dalla figlia, la piccola Mae Mobley.
E che dire dei personaggi maschili, in questo libro? Sono figure di contorno, poste in secondo piano a sostenere e dar ragione del tessuto sociale di quel periodo. Ad iniziare con Stuart Withworth, il temporaneo fidanzato altolocato di Skeeter, ancorato ai valori della tradizione che pongono i bianchi in posizione di predominio e ostinatamente contrario all’integrazione razziale. Per proseguire con il senatore Withworth, padre di Stuart, conservatore, semialcolizzato, meschinamente concentrato sulla sua carriera politica al punto da sacrificare ad essa anche gli affetti più importanti. Leroy, il marito di Minny, è un operaio nero che annega nell’alcool la frustrazione e la rabbia della sua situazione di sottomissione senza via d’uscita, sfogandosi sulla moglie a suon di botte e schiaffi.
Rimane in lontananza, insieme all’attivista per i diritti civili brutalmente assassinato a Jackson, il grande Martin Luther King, il coraggioso avvocato che raccontava di “avere un sogno”, per il quale anch’egli avrebbe pagato con la vita, e che compare nelle favole di Aibeleen raccontate teneramente alla sua “ultima bambina” Mae Moebly, come un “marziano” verde che voleva vivere sulla terra in pace, assieme alle persone di tutti i colori.
Chiudendo questo libro i lettori possono sentire la speranza resistere nel pianto sconsolato della piccina, che dice addio alla sua tata, ma che conserva sotto le palpebre l’immagine di un girotondo multicolore.
06 marzo 2013
Carla Combatti

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